Fabio Aguzzi: Nature Morte, Cortina d'Ampezzo
L'intreccio del linguaggio
A guardare le opere di Fabio Aguzzi balza appunto agli occhi, in immediatezza di percezione, la ricerca di un'ostinata "inquadratura" simmetrica. I suoi oggetti, sian essi cesti o poltrone in vimini, brocche in terracotta o giocattoli di plastica, occupano pressoché tutta la superficie e di conseguenza il
campo visivo, fatta eccezione per una sorta di "smarginatura" laterale che però è uguale e speculare, a destra e a sinistra. Ciò vale anche per quanto riguarda lo sviluppo verticale delle immagini, per il quale ancora una volta Aguzzi cerca di non produrre scarti disuguali, prova ne sia il fatto che, quand`anche l'oggetto tenda ad "involarsi" verso l'alto, l'artista ricorre subito allo stratagemma di un drappo, una stoffa, un indumento, che si posano sul piano ricompattando "democraticamente'" la distribuzione complessiva sulla superficie. Ne deriva una sorta di "horror vacui", di occupazione di spazio, di esclusività dell`oggetto, centrato attraverso il mirino di una sorta d'immaginario teleobiettivo. Cid premesso, si potrebbe tranquillamente concludere che Aguzzi intende aderire alla realtà, planando su di essa tanto da combaciare con le sue forme. Invece ti accorgi che tutto cid è ingannevole.
Infatti il pittore sceglie di riprodurre materiali come la paglia intrecciata, il vimini ed altri, che di per se stessi si propongono come il risultato di un intreccio filiforme di tratti curvilinei e spezzati.Se poi osservassimo i paesaggi veneziani, Ci accorgeremmo che le architetture famose e meno famose
della città lagunare sono riprodotte in pittura con la stessa tecnica di pennellate ad intreccio o comunque filiformi, alla maniera del divisionismo secessionista a cavallo tra i due secoli, che in questo caso si avvale però di una sorta di automatismo segnico. E allora sappiamo che non solo è ingannevole l'ipotesi naturalistica, ma che proprio in questo "inganno" s'inscrive il senso della poetica dell'artista i cui maestri son tutti rintracciabili, da un lato, nell'allucinazione tipica della cultura fiamminga e dall' altro lato nelle infinite sfaccettature della cultura metafisica e surreale. Gli oggetti ritratti da Aguzzi sono infatti fantasmi, puri e semplici intrecci di pennellate strette nella morsa del metodo. La realtà, inseguita e catturata con tanta ostinazione, infine svapora nell'assenza, nella pura logica del linguaggio. Segno tra i segni. essa, in tanta armonia formale, si nega alla tangibilità delle forme.
Giorgio Cortenova